IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1128 del 1991
 proposto da Patera Ettore, rappresentato e difeso dall'avv. A. Funari
 e dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani,  contro  la  u.s.l.  TA/4  e  la
 Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  l'annullamento della
 delibera n. 09 del 18 gennaio 1991 della u.s.l. TA/4,  nonche'  della
 nota prot. 6/2/31/SD/52509/600/S del 13 giugno 1990;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla camera di consiglio del 15 maggio 1991 la relazione del
 consigliere Catoni e uditi, altresi', gli avvocati Funari  e  Sticchi
 Damiani per il ricorrente;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il  ricorrente  dott.  Patera,  dirigente  veterinario,  presso la
 u.s.l. intimata e' nato il 16 maggio 1926 e, quindi in data 16 maggio
 1991 compie il sessantacinquesimo anno di eta'.
    Ha inoltrato una richiesta all'amministrazione di appartenenza per
 essere trattenuto in servizio sino  al  compimento  del  settantesimo
 anno  di eta', in applicazione della legge n. 37/1990 che ha esteso a
 tutti i dirigenti pubblici dello Stato ed equiparati i benefici  gia'
 previsti  dalla  legge  n.  477/1973  per  il personale docente della
 scuola.
    L'istanza e' stata respinta sicche' il dott.  Patera,  ritenendosi
 leso da siffatta decisione ha impugnato il provvedimento sostenendo:
    1)  Violazione  e  mancata applicazione dell'art. 6 della legge n.
 336/1964 e dell'art. 5 della legge n. 627/1982 in relazione  all'art.
 53 del d.P.R. n. 761/1979.
    Sulla interpretazione dell'art. 6 della legge n. 336/1964 la Corte
 costituzionale  si e' espressa in senso rigoristico nella sentenza n.
 134/1986, ritenendo che la norma poteva operare  solo  a  priore  dei
 titolari  di  posti  di  ruolo. Ma quella interpretazione, afferma il
 ricorrente, la Corte costituzionale dette  nel  contesto  legislativo
 allora  vigente nel quale essa ritenne che il trattamento in servizio
 disposto a favore dei primari avesse carattere puramente residuale  e
 marginale  rispetto  al  principio generale del collocamento a riposo
 fissato per tutti gli impiegati pubblici al  sessantacinquesimo  anno
 di eta'.
    L'interpretazione data dalla Corte che allora, tra l'altro, non ha
 esaurito  l'esame  delle  questioni di legittimita' proponibile sulla
 materia, deve ormai essere radicalmente rivista alla luce della legge
 n. 37/1990  che  ha  esteso  a  tutti  i  dirigenti  dello  Stato  ed
 equiparati  il trattenimento in servizio fino al settantesimo anno di
 eta'.
    2) Violazione e  mancata  corretta  applicazione  della  legge  n.
 37/1990. Omessa disamina e motivazione.
    La  legge  n.  37/1990  ha  nel  giudizio  che occupa il collegio,
 secondo il ricorrente, un duplice significato:
      quello di rendere  immediatamente  applicabile  anche  al  dott.
 Patera,  il  trattenimento  in  servizio sino al settantesimo anno di
 eta';
      quello di dimostrare la validita'  di  una  interpretazione  non
 rigoristica dell'art. 6 della legge n. 336/1964.
    Infatti,  le  norme  sui  docenti,  ove  estese ai dirigenti dello
 Stato, si applicano a tutti i dipendenti che fossero semplicemente in
 servizio al 1º ottobre 1974.
    3) Questioni di  legittimita'  costituzionale  in  relazione  agli
 artt.  3 e 97 della Costituzione, all'art. 6 della legge n. 336/1964,
 alla legge n.  627/1982,  alla  legge  n.  459/1965,  alla  legge  n.
 517/1986 e all'art. 53, ultimo comma, del d.P.R. n. 761/1979.
    Le  questioni afferenti la legittimita' costituzionale sull'art. 6
 della legge n. 336/1964 e della  legge  n.  62/1982  non  sono  state
 ancora  risolte con le due sentenze della Corte rispettivamente con i
 nn. 33/1982 e 134/1986.
    Permangono, infatti, nell'ordinamento varie distorsioni  come,  ad
 esempio,  la disparita' di trattamento a danno dei dirigenti sanitari
 rispetto a sempre piu' estese categorie di funzionari pubblici per  i
 quali  vige  il  principio  del collocamento a riposo al settantesimo
 anno di eta'.
    Le questioni di legittimita' costituzionale assumono  una  precisa
 rilevanza rispetto a recenti ordinanze di remissione alla Corte oper-
 ate  da alcuni t.a.r. che hanno posto l'accento sulla discriminazione
 operata risevando solo ad alcuni questo diritto al  trattenimento  in
 servizio  o la circostanza che da eccezioni tali riserve, sempre piu'
 estese, stanno divenendo la regola.
    Ma ulteriori  questioni,  soggiunte  il  ricorrente,  insorgono  a
 seguito dell'avvenuta promulgazione della legge n. 50/1991.
    Con essa solo ai primari di ruolo e non anche agli altri dirigenti
 sanitari  (fra  questi  i veterinari) e' stato concesso di restare in
 servizio fino al settantesimo anno di eta'.
   La legge in argomento tra l'altro ha  gia'  dato  luogo  ad  alcune
 pronuncie,  tutte rilevanti, come la sentenza n. 143/1991 della Corte
 costituzionale la quale ha espressamente riconosciuto che la legge n.
 50/1991 si pone come jus superveniens rispetto alle  pregresse  norme
 sul collocamento in quiescenza dei dipendenti pubblici.
    Per tutti i motivi esposti, posto che il suo collocamento a riposo
 avra'  luogo dal 1º giugno prossimo, il Paterna chiede la sospensione
 del provvedimento di collocamento a riposo per evitare  i  danni  non
 piu' riparabili e l'accoglimento del ricorso.
    Il  collegio  ha accolto l'istanza di sospensione sino al giudizio
 della Corte costituzionale alla quale ha ravvisato la  necessita'  di
 rimettere gli atti per i seguenti motivi in:
                             D I R I T T O
    Il  ricorrente impugna il provvedimento che lo colloca a riposo al
 compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di   eta'   deducendo   la
 violazione  e  la  mancata  applicazione  della legge n. 37/1990 e la
 illegittimita' costituzionale in relazione agli artt. 3  e  97  della
 Costituzione,  delle  norme di cui alle leggi nn. 336/1964, 627/1982,
 459/1965,  517/1986  e  d.P.R.  n.   761/1979;   in   rapporto   alle
 prescrizioni  contenute  nella  citata  legge  n. 37/1990 e alla luce
 delle nuove norme di cui alla legg n. 50/1991.
    Sostiene  in  sostanza  il  ricorrente  che  il  legislatore   nel
 disciplinare  il  collocamento  a riposo dei dirigenti dello Stato ha
 disposto certamente in favore di tutti i dirigenti pubblici e ove  la
 norma   non   potesse  essere  interpretata  in  tale  senso  sarebbe
 sospettata di legittimita' costituzionale. Non solo  ma  la  tendenza
 che  il  legislatore  ha  manifestato  negli  ultimi  tempi  deve far
 riprendere il discorso su  tutte  le  questioni  afferenti  le  norme
 suindicate   che  la  Corte  costituzionale  non  ha  ancora  risolto
 compiutamente.
    Osserva il collegio  che  la  regola  di  carattere  generale  che
 prevedeva  il  collocamento  a  riposo  dei  pubblici  dipendenti  al
 sessantaciquesimo anno di eta'  soffriva  di  alcune  eccezioni  come
 quelle  relative  al  personale  docente  della scuola secondaria, ai
 primari ospedalieri,  al  personale  di  magistratura  e  ai  docenti
 universitari.
    Alcune eccezioni lo stesso legislatore aveva voluto correggere (in
 occasione  della  emanazione  di nuove norme riguardanti il personale
 della sanita' (d.P.R. n. 761/1979), le disparita' esistenti in favore
 di alcune categorie di personale disponendo anche per  queste  ultime
 il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di
 eta'.
    Ma  lo stesso legislatore consentiva per il personale della scuola
 (art. 15 della legge n. 477/1973, secondo  comma)  e  per  i  primari
 (art.  5  del  d.-l.  n.  402/1982)  che  coloro  che fossero gia' in
 servizio ad una certa data potessero conservare siffatto privilegio e
 le   disposizioni   sono   state   ritenute   conformi   al   dettato
 costituzionale   dalla   Corte   (sentenza   n.  207/1986)  dato  che
 costituivano un  regime  transitorio  perche'  il  legislatore  aveva
 ritenuto  di  armonizzare  il  passaggio  della  vecchia  alla  nuova
 disciplina.
    Altrettanto dicasi per le altre categorie  (magistrati  e  docenti
 universitari)  per i quali non si era ritenuto di innovare al vecchio
 trattamento perche' per  queste  il  legislatore  aveva  ritenuto  di
 dettare  regole  difformi  dal restante personale pubblico in ragione
 della peculiare funzione.
    Ma a  questa  razionale  tendenza  all'uniformita'  si  e'  venuta
 sovrapponendo  negli  ultimi  tempi  una  inversione nel senso che il
 legislatore ha nuovamente disposto delle eccezioni e  cio'  e'  tanto
 piu'  significativo  dato  che  questo orientamento legislativo si e'
 collocato all'interno di una nuova tendenza che, tenendo conto  anche
 delle  migliorate  condizioni di vita, si e' posto il problema di una
 generale revisione delle  norme  in  materia  di  pensioni  e  di  un
 generale rialzo degli attuali limiti di eta'.
    Si possono rammentare al riguardo:
      la legge 28 febbraio 1990, n. 37, per i dirigenti dello Stato;
      la  legge  19  febbraio  1991,  n.  50,  per alcune categorie di
 personale medico;
      la legge regionale della Calabria (ritenuta conforme al  dettato
 costituzionale della Corte su impugnativa del Governo) del 18 ottobre
 1989.
    Significative  sono  le  due  prime disposizioni dato che entrambe
 pongono l'accento sulla  necessita'  di  concedere  al  personale  in
 questione  la  possibilita'  di ottenere il conseguimento del massimo
 del servizio attraverso il differimento del collocamento a riposo.
    E' ragionevole, quindi, a questo punto porsi  il  problema  se  il
 fatto  di  aver  limitato  solo  ad  alcune  categorie  di  personale
 (dirigenti dello Stato e  primari  ospedalieri)  la  possibilita'  di
 essere  trattenuto in servizio per il fine di cui sopra non contrasti
 con i principi di cui all'art. 3, 4, 38, 51 e 97 della Costituzione.
    Ma preliminarmente il collegio deve stabilire se le  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  sollevata  sia  rilevante  ai  fini del
 giudizio.
    Va osservato che la richiesta del  ricorrente  ed  il  conseguente
 provvenimento  negativo  sono  stati  fondati sulle norme di cui alla
 legge n. 37/1990 in favore dei dirigenti dello Stato.
    L'amministrazione ha rilevato che la Presidenza del Consiglio  dei
 Ministri  ha  escluso  tassativamente la possibilita' di estendere ad
 altre categorie di personale equiparato le disposizioni  della  legge
 n.  37/1990  il  carattere  eccezionale  e derogatorio della norma al
 normale regime di collocamento a riposo dei dipendenti pubblici.
    L'interpretazione  che  della  norma  ha  fatto  l'amministrazione
 intimata  non puo' revocarsi in dubbio posto che il legislatore si e'
 espresso assai  chiaramente  nel  limitare  il  beneficio  ad  alcuni
 destinatari ben individuati.
    Del  resto  che  tale  dovesse  essere il senso della disposizione
 viene confermato  dalla  circostanza  che  altri  collegi  giudicanti
 ritenendo  la norma non applicabile ad altre categorie rilevandone in
 tal caso la non manifesta infondatezza in rapporto all'art.  3  della
 Costituzione abbiano rimesso la questione alla Corte.
    La  Corte costituzionale, peraltro, si e' gia' pronunciata su tali
 ordinanze di remissione (sentenza n. 143/1991) rimettendo  nuovamente
 in  giudizio ai giudici a quibus perche' la rilevanza della questione
 venisse ancora stabilita alla luce della ulteriore legge 19  febbraio
 1991,  n.  50,  che  dispone  in  favore  del  personale  ospedaliero
 primariale analogo beneficio.
    Non sembra che, peraltro, la nuova normativa possa  applicarsi  in
 favore del ricorrente.
    Dispone  la  norma  (art. 1, primo comma), infatti, che "i primari
 ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di  anni  di
 servizio   effettivo  necessario  per  conseguire  il  massimo  della
 pensione possono chiedere di essere trattenuti in  servizio  sino  al
 raggiungimento   di   tale  anzianita'  e,  comunque,  non  oltre  il
 settantesimo anno di eta'".
    Va osservato in primo luogo lo scarso tecnicismo  del  legislatore
 atteso  che  la  figura dei dipendenti e' individuata con richiamo ad
 una  legislazione  progressa  e  non  a  quella  vigente  (d.P.R.  n.
 130/1969).
    In  effetti  dopo  l'entrata  in  funzione delle uu.ss.ll. e della
 normativa che ha disposto sullo  stato  giuridico  del  personale  di
 queste  (d.P.R.  n.  761/1979)  il  primario  ospedaliero,  lungi dal
 costituire  una  figura  a  se  stante  come   posizione   giuridica,
 rappresenta  invece  una delle "posizioni funzionali" all'interno del
 profilo professionale medici del  ruolo  sanitario,  nel  quale  sono
 anche ricomparsi i dirigenti, sovraintendenti e direttori sanitari.
    Interpretando,  quindi,  in  senso  estensivo e conformemente alle
 intenzioni che possono e devono  essere  attribuiti  al  legislatore,
 certamente  la  norma  di  cui  all'art. 1 della legge n. 50/1991, va
 estesa  a  tutte  le  posizioni  funzionali  del   medesimo   profilo
 professionale.  In  questo caso l'identita' della posizione giuridica
 non giustificherebbe in  effetti  un  intervento  del  legislatore  a
 favore  addirittura  non di una categoria ma di una sottocategoria di
 personale sicche'  il  lavoratore  laddove  una  norma  possa  essere
 interpretata  in  senso  duplice  certamente  va  preferita l'esegesi
 conforme al dettato costituzionale.
    Ma nell'esame  del  provvedimento  cautelare  richiesto  a  questo
 giudice,  il tribunale si e' trovato di fronte ad una richiesta di un
 dipendente che pur ricompreso nel ruolo sanitario e' incluso non  nel
 profilo  professionale  di  cui alla tabella A-medici ma alla tabella
 C-veterinari.
    E' evidente che l'estenzione della previsione legislativa  sarebbe
 stata   arbitraria  e  pertanto  il  collegio  si  e'  trovato  nella
 impossibilita' di concedere  il  provvedimento  cautelare  fondandosi
 sulla disposizione normativa e ne ha invece preveduto la possibilita'
 solo  attraverso una indagine costituzionale sulla legittimita' della
 norma.
    D'altro canto  per  stabilire  la  rilevanza  della  questione  il
 collegio ha dovuto porsi anche il problema se sussistevano gli stessi
 presupposti  per  l'applicazione  che la norma richiede in favore del
 profilo professionale medici ovvero  il  mancato  raggiungimento  del
 numero  di  anni  di servizio effettivo neccessario per conseguire il
 massimo della pensione,  limitazione  questa  contenuta  anche  nella
 legge n. 37/1990.
    Si  pone  a  questo  punto  il  problema  di  stabilire  anche  il
 significato del termine "effettivo" posto che esso diverge  anche  da
 settore  a  settore  del  pubblico  impiego  perche',  ad esempio, e'
 considerato tale nel settore statale (d.P.R. n. 1092/1973) il periodo
 trascorso negli studi universitari e  riscattati  ai  sensi  di  tale
 complesso normativo, mentre quest'ultimo e' considerato solo servizio
 utile in altri settori.
    Peraltro,  la questione non appare rilevante nel presente giudizio
 perche' da un canto la  funzione  pubblica  con  circolare  prot.  n.
 1109/ris.  gab.  del  16  aprile  1991,  con una interpretazione che,
 comunque, appare al collegio non estremamente convincente,  viste  le
 motivazioni  poste  a base del provvedimento legislativo, ha chiarito
 che nella specie dovrebbe tenersi conto esclusivamente  del  servizio
 effettivamente  prestato,  dall'altro  perche'  il ricorrente in ogni
 caso  anche  a  voler  tener  conto  di  tutto  il  servizio   utile,
 raggiungerebbe  il massimo di pensione solo trascorsi due anni e nove
 mesi dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta', sicche',
 almeno per questo periodo la questione e' certamente rilevante.
    Cio'  premesso,  osserva  il  collegio  che la denunciata sospetta
 illegittimita'  costituzionale  della  norma   non   appare   affatto
 manifestamente infondata.
    Come  si  e'  avuto modo di accennare nelle premesse alla tendenza
 prima manifesta di uniformare, tranne alcune limitative eccezioni, il
 limite di eta' per essere collocati a riposo, ha  invece  di  recente
 manifestato  una  tendenza  diversa,  alla  quale tra l'altro si sono
 accompagnate intenzioni esplicitamente manifestate di rivedere  tutte
 il  sistema  pensionistico  nel  senso dell'aumento generalizzato del
 limita' di eta'.
    D'altro canto, sia la  legge  per  i  dirigenti  dello  Stato  che
 l'ultima  normativa  in favore di primari ospedalieri, assumendo come
 presupposto indefettibile  il  mancato  compimento  del  massimo  del
 servizio  di  pensione,  ha  indubbiamente esternato una volonta' del
 legislatore di privilegiare nell'ambito del diritto  alla  previdenza
 dei lavoratori la possibilita' di ottenere il massimo risultato.
    Se  tale  e'  la  giustificazione  della  norma  ed altra non puo'
 essere, non vi sono motivi per limitarla solo ad alcune categorie.
    Non  puo'  prendersi  a  base  il  differente  periodo  di   studi
 universitari  tra  i veterinari e i primari ospedalieri posto che per
 entrambi e' previsto il riscatto degli  anni  trascorsi  sugli  studi
 universitari  il  che riconduce ad una pari possibilita' per entrambe
 le categorie il compimento del periodo massimo.
    Non soltanto, un siffatto intendimento del legislatore, sul  quale
 come  si  e'  detto  il  collegio  non  nutre dubbio alcuno, dovrebbe
 operare addirittura in tutto il settore del pubblico impiego  perche'
 non  appare  ragionevolmente  giustificata  una  norma  finalizzata a
 consentire solo ad alcune categorie di raggiungere il  massimo  della
 pensione,  senza  che possano individuarsi elementi che giustifichino
 maggiori difficolta' di lavoro per le stesse categorie.
    Queste ultime anzi, proprio,  per  la  piu'  elevata  preparazione
 professionale, connessa al titolo di studio, manifestano una maggiore
 possibilita'  di  inserimento nel mondo del lavoro. E' noto, infatti,
 in Italia la cronica carenza di personale laureato,  circostanza  non
 individuabile per soggetti non forniti dallo stesso titolo di studio.
 D'altro  canto  va anche rammentato che il recente aumento del limite
 di eta' per l'accesso al pubblico impiego  manifesta  ancor  piu'  la
 irragionevolezza  della  norma  in discorso, in quanto da un canto si
 favorsice il diritto al lavoro, dall'altro si impedisce di ottenere i
 migliori risultati nell'ambito della previdenza.
    Va rilevato che la Corte costituzionale con sentenza  n.  238/1988
 ha  posto  in  luce  che  le  eccezioni  stabilite nella legislazione
 vigente  per  mantenere  in  servizio  un  dipendente   onde   fargli
 conseguire  il  minimo  di pensione si giustificano in quanto poste a
 tutela di un  diritto  del  lavoratore  costituzionalmente  garantito
 dall'art.  38.  D'altro  canto,  nella  stessa  decisione la Corte ha
 testualmente affermato: "non si puo'  rinverdire  nella  legislazione
 statale un principio consistente nel divieto assoluto di mantenere in
 servizio  i  dipendenti  che  abbiano  raggiunto  il  limite  massimo
 dell'eta' lavorativa fissato per la categoria 'interessata'".
    La norma in discorso, quindi, nella parte in cui  limita  siffatto
 diritto  solo a ben individuati dipendenti pubblici si pone ad avviso
 del collegio in contrasto non solo con le norme di cui agli artt. 3 e
 97 della Costituzione ma anche con gli artt. 4 e 38,  secondo  comma,
 per  la  connessione  che  il  diritto  al  lavoro  ha  con la tutela
 previdenziale  e  all'art.  51  in  quanto  sia  pure strumentalmente
 limitata una permanenza maggiore e, pertanto, l'accesso  agli  uffici
 pubblici per il medesimo periodo a persone che, ai fini di cui sopra,
 si trovano in perfette posizioni di eguaglianza.
    Va,  percio',  disposta  la sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della sopra prospettata questione di costituzionalita'.